Un Consorzio, venti soci, una decina di milioni di euro di fatturato nel mondo dei servizi, circa 200 persone che lavorano su tutto il territorio italiano.
Nato un decennio fa da una buona idea che è diventata un esperimento professionale, il Consorzio è cresciuto molto velocemente e, come in ogni azienda italiana che si rispetti, ha lasciato fare al business senza riflettere sul fatto che la crescita va sostenuta con la costruzione delle competenze interne. Com’era? La potenza è nulla senza controllo.
E il controllo è un concetto che sfugge in massima parte in queste situazioni.
Niente dipendenti consortili, niente regolamento interno, un sultanato indiscusso, conflitto di interessi tra la presidenza del Consorzio e quella di alcune società consorziate, che ovviamente costituiscono una sorta di holding di controllo. Peccato che anche la holding sia frazionata in diverse ragioni sociali. Peccato anche che al suo interno non ci siano le competenze necessarie per guidare e gestire una macchina che deve muovere risorse, gestire stock, promuovere la crescita commerciale, gestire le relazioni e le relative pratiche amministrative con decine di grossi ed esigenti clienti finali.
Insomma, la solita struttura pasticciata all’italiana: non si sa bene chi fa cosa e ogni tanto c’è un singulto paralizzante perché è cambiata una legge, ma in qualche modo si tira avanti. Nuovo business, nuovo direttore commerciale, un sacco di idee, nessun progetto di sviluppo.
Poi, una mattina, uno dei capi senza incarico si sveglia con una buona idea: facciamo formazione sulle vendite. E così, nel pieno di un novembre molto freddo, viene organizzato un assessment per tutto il personale di middle management che serve a rilevare il fabbisogno formativo dell’azienda. A gestire la giornata c’è uno dei guru della formazione alle vendite, il più bravo di tutti, che realizza su due piedi che qui non basta una analisi del fabbisogno formativo: c’è da mettere ordine e poi costruirci sopra le competenze.
Il progetto 4C parte alla grande, con l’entusiasmo di tutte le dodici persone coinvolte, che improvvisamente scoprono che lavorare meglio è possibile.
Quattro gruppi di lavoro, un mese per organizzare le idee e formulare delle proposte, il consulente organizzativo alla guida del progetto. Un diagramma di GANNT, un percorso critico, quattro tematiche interrelate:
- Azienda, consorzio, strategie
- Clienti effettivi e potenziali
- Risorse umane, ruoli
- Organizzazione, metodi, strumenti
Alla fine della fase uno il progetto è pronto.
Una analisi swot su ogni tematica, per capire bene su cosa fare leva e cosa invece migliorare.
Il nuovo organigramma.
Trenta azioni da implementare, individuate come prioritarie per consolidare punti di forza, eliminare le debolezze, cogliere le opportunità e ridurre rischi e minacce. Tra le tante, le più interessanti, che sono poi i binari su cui ciascuna sana azienda dovrebbe correre per continuare a fare la sua lunga strada:
- Elaborazione di una strategia commerciale condivisa
- Revisione del portfolio di servizi per maggior integrazione e capacità di risposta al mercato
- Capillarizzazione sul territorio
- Valorizzazione delle competenze interne in ambito di delivery
- Condivisione dei piani di azione tra il commerciale e la delivery
- Rafforzamento della comunicazione interna
- Promozione della cultura della responsabilità grazie all’organigramma
- Istituzione delle riunioni di squadra per mantenere vivo il metodo
- Riprogettazione del sistema informativo aziendale
La fase uno dà un grande risultato: han capito tutti che è la squadra che gioca la partita, è la squadra che vince la partita.
Un bellissimo progetto, divertente, qualificante e che ha acceso la testa delle persone coinvolte, travolgendo di entusiasmo e speranza, in tempi di piena crisi, una organizzazione che stava morendo d’inedia.
La nota agghiacciante è il dopo, la fase due, quella che è morta prima di nascere. Con l’ossessione del risparmio, senza capire che costruire una casa con materie prime scadenti serve solo a farla crollare alla prima scossa, il sultano decide che si può fare senza consulenti esterni. E il progetto si ferma, e così l’entusiasmo, e così la crescita.
L’impresa poco illuminata, che non capisce che il cambiamento è necessario per rimanere al passo dei tempi e del mercato, non sempre è all’altezza di se stessa. E se non riesce a cavalcare l’onda che essa stessa ha smosso, finisce superata da un surfista più acuto e divorata da qualche pesce, più grosso, che passa di là.
Comprati dopo otto mesi da un player di mercato molto ingombrante (non chiedetevi come si possa comprare un Consorzio, è il solito pasticcio all’italiana, di nuovo) han perso nome, identità, entusiasmo, e probabilmente anche un radioso futuro pieno di business e di utile.
0 commenti