Domenica mattina, ore sette. Tutti dormono. O quasi.
Qualcuno suda camicie a capire come fare a salvare il salvabile. Di solito, quello lì, è il responsabile IT. Ma se ci fosse un responsabile, avrebbe anche una procedura di disaster recovery.
Qui invece non c’è proprio niente e son due giorni che il sistema informativo aziendale è fermo, parcheggiato immobile dentro un server remoto, lassù in Germania, affittato tempo fa dietro ad una lunga catena di subappalti di servizi difficile da raccontare.
Altro che scatole cinesi: questa è una catena di Sant’Antonio.
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Lo schermo del server è sempre nero.
Il giorno di fermo è il terzo, ma tanto è weekend.
Nessuno sa cosa fare e i tecnici non son pagati per dare risposte.
Il silenzio risuona dell’eco di anatemi inespressi e speranze infondate.
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Non si sa dove sono i backup?
Poco male, interverrà il vecchio fornitore.
Quando?
In best effort.
Chiedetelo a Wikipedia cosa vuol dire ‘best effort’: http://it.wikipedia.org/wiki/Best_effort
A me basta leggere che così “si definisce un servizio che non dà alcuna garanzia dell’effettiva consegna né tantomeno livelli di qualità o priorità garantiti”.
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Non è che non si sa dove sono, neanche si sa se ci siano. Nessuno li ha mai testati, anche se ogni sano piano di disaster recovery prevede dei test. Perché qualcuno avrebbe dovuto sprecare il suo tempo a testare?
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Esiste una possibilità che sia tutto perso.
Remota, ma esiste.
E passano dieci ore tra la sua congettura e la scoperta che il consulente organizzativo fissato con gli standard internazionali ha costretto un subfornitore a fare una copia della macchina, un backup bare metal, uno snapshot. Chiamatelo come vi pare. Pare che qualcosa ci sia.
La consulente, la rompipalle, è una fissata con la sicurezza, una che spacca i maroni tutto il giorno parlando dei rischi, della loro valutazione, di misure preventive. Una fissata, rigorosa, noiosissima consulente.
Che però ha fatto fare una immagine estiva del sistema e un backup di fortuna su un disco esterno collegato via internet.
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Dicono che ci vogliono alcune ore per ripristinare Windows via web.
Peccato che non hanno valutato che la banda non c’è ed il tempo, su internet, non è un concetto relativo: dipende dall’ampiezza del tubo in cui passano i dati. Dipende dai soldi che ci hai speso, micragnoso imprenditore. Pochi.
Ci hai messo la tua impresa dentro, con pochi soldi a sostenerla.
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In realtà non sono alcune, le ore che devono passare, sono più di dodici. Ed in breve la domenica scorre, la mezzanotte scocca, le carrozze tornano ad essere zucche e domani nessuno lavorerà, forse. O forse, no.
Una notte intera svegli a guardare il monitor sudando come un esquimese col parka all’equatore sperando che non sia proprio tutto perso.
Non proprio tutto, almeno.
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E la domenica diventa lunedì.
E bisogna avvisare tutti che l’ERP è fermo, che nessuno può lavorare, che non si spedisce niente, che non si fattura niente, che l’IVA si vedrà, che le provvigioni alla rete di vendita anche…
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Qualcuno si agita, ma son solo operatori.
Perché i manager, quelli veri, dovrebbero scomporsi?
I tecnici faranno un miracolo, anche se non sanno come.
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Pensate ancora che la ISO 22301 sia una cazzata per consulenti fissati che producono slide a mezzo di slide?
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