Mi ha chiamata, stamattina, un RGQ.
Scusa?
Mi ha chiamata, stamattina, un RGQ.
Sa l’ha ciamà cus’e`?
Un Responsabile del Sistema di Gestione per la Qualità.
Ah beh, sì beh, cünta su…
Avrei voglia di ricamare tutto il post sulle note di ‘Ho visto un re’, giusto per rimanere intenzionalmente ironica, ma poi finirei per essere politically incorrect e soprattutto sgrammaticata, considerando che non parlo Milanese.
L’RGQ, però, mi ha chiamata sul serio, e mi ha detto: ‘Senti, avevi ragione tu, torni?’
Non prendetemi alla lettera, la conversazione è stata ben più articolata e complessa, ma la soddisfazione è la stessa: finché mi pagate per pensare ed io vi dico quello che penso, non quello che volete sentirvi dire, può succedere che vi stia molto antipatica, ma anche che vi torni utile.
Mi è venuta voglia, quindi, di raccontarvi questa storia perché la trovo terribilmente stereotipica del fenomeno, tutto italiano, della relazione tra la piccola impresa e la sua stessa organizzazione.
Io sono un auditor interno adeguatamente formato dal 2001 (al secolo, qualcuno direbbe ‘certificato’, per fare il figo), perché Delaini senior, allora, era fissato con ‘la Norma’ quasi come lo sono io adesso.
Non ci ho nemmeno mai pensato, sinceramente, a fare soldi facendo audit interni: è un incarico difficile, delicato, che richiede competenza, attenzione ed un sacco di diplomazia.
Non ci ho nemmeno mai pensato, a farlo, ma mi capita di dirlo, quando racconto che mi occupo di 9001.
E così un’azienda, che ho conosciuto e con cui ho lavorato per altre vie, tutte regolatorie, mi ha chiamata, un paio di anni fa, dicendomi qualcosa tipo ‘Senti ma… visto che sei un auditor interno… non è che vieni a farci una verifica di sistema prima che il nostro ente di certificazione faccia la verifica per il rinnovo del nostro certificato di 9001:2008?’.
Adesso ditemi la verità, secondo voi. Se uno fa il mio lavoro e si sente fare una richiesta così, non pensa: ma guarda che bravi questi?
Ecco, io l’ho pensato.
Mica potevo immaginarmi che razza di casino avesse combinato il sedicente, secolare, consulentedellaqualità passato di là prima di me (anche se forse avrei potuto almeno congetturarlo).
Ah beh, sì beh, sa l’ha vist cus’è?
Un gran bel casino.
E non è che lo chiamino processo ed invece è una procedura, è che c’è un processo non descritto, che vive, e poi c’è un processo descritto, che sta lì ben piantato in mezzo all’azienda come l’armatura di un guerriero medioevale. E fosse solo uno…
Poi c’è che insomma non è che ci siano proprio tutte le evidenze oggettive…
Poi c’è che insomma non è che ci sia proprio tutta quella ‘awareness’ (ho scoperto che se la chiamo consapevolezza, la parola fa impressione – mi immagino il concetto).
Poi c’è che, insomma, sei lì e ti chiedi: cosa farebbe Tiziano G., il maestro Yoda, al tuo posto?
Sei un auditor, non un ispettore. Devi conoscere il contesto, calarvi la norma, trasmettere valore (e certamente non terrore). Devi essere inflessibile ma coerente con la realtà… insomma…
Così te ne esci con una lista delle indulgenze e delle tirate di orecchio, tra il verbale ed il diario, in una sorta di assoluzione condizionata all’espiazione di alcune, minime, pene costruttive, concessa per poche parole scritte e molti sguardi.
Poi però due paroline, a voce, gliele dici di nuovo, vero, oltre ai commenti in diretta?
Mi immagino che sia per queste, proprio le paroline, che l’anno dopo, puntuale come un esattore, arriva la telefonata del RGQ.
Sa l’ha ciamà cus’è?
Il mio amico RGQ è sempre più sudato, sempre più preoccupato, sempre più confuso: li hanno comprati da pochi mesi, c’è un caos incredibile e lui non ha tempo di star dietro alla certificazione (non alla Norma, questa annosa, noiosa, evidentemente inutile sconosciuta).
Nella nebbia forte in cui annaspa l’azienda, tra il vecchio ed il nuovo, tra il tecnico ed il manager, tra il fissismo dei parassiti ed il turn over dei ruoli chiave, coi middle manager che vacillano, la direzione che decide (ignorando sistema e sistemi) ed il field che ha perso l’orientamento… il mio RGQ ha una botta di freddezza e mi dice: ‘Qui va quasi tutto bene, ma io non ho tempo, li fai tu gli audit interni?’
Beata innocenza che talora riscopro, mi aspettavo di cogliere i frutti del paventato cambiamento… non di trovare lo stesso sistema, ancor meno condiviso, ancor più scollegato dalla realtà.
Mi veniva da piangere, ma ho fatto il consulente: ho auditato, verbalizzato, raccomandato. E probabilmente sono stata così antipatica ma equilibrata che un riccio sotto ad un piede suonerebbe più gradevole.
Mi piace dire di me, in queste circostanze (tanto per citare Jessica Rabbit): ‘Non sono cattiva, è che mi disegnano così’.
In effetti a disegnarmi così sono io:
mi pagate per dirvi quello che so (o che penso), non quel che volete sentirvi dire,
meglio onesta che cretese da paradosso.
***
Mi ha chiamata, stamattina, un RGQ.
L’anno scorso gli ho detto: se non volete ripensare al sistema in modo che vi giovi, non sarò io a farvi sprecare denaro con la mia consulenza.
Stamattina mi ha chiamata dicendomi: ‘avevi ragione’.
‘Torna e facciamo reverse engineering: realtà > formalizzazione > compliance’.
Gli credo? Ve lo dico tra un paio d’anni.
Potrei divertirmi? Sì.
Passeranno alla 9001:2015? Il punto di arrivo dipende dal punto di partenza (ma soprattutto dalla benzina).
***
Non è la prima volta,
non sarà l’ultima,
ma è sempre una storia curiosa da raccontare,
quella della Qualità…
… quasi così come la raccontava Pirsig ne ‘lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta’.
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