Ho dei clienti che si risentono dei miei “no”. Pochi, devo ammettere, ma ce li ho anche io.
Io che dei miei clienti vado così fiera perchè li ho voluti, coltivati, ma soprattutto perchè mi sono spaccata la testa per capirli, dopo che me ne sono innamorata.
*Sei innamorata dei tuoi clienti? Ma sei fuori? Ti pare una cosa da dire?*
Eh sì, mi pare eccome una cosa da dire, e loro lo sanno. Io sono innamorata dei miei clienti, non tanti ma davvero preziosi, perchè fanno cose speciali e le fanno con competenza, dedizione e passione. Lavorare al servizio di una idea per renderla o mantenerla solida e sicura è l’unica cosa che dà un senso ad un mestiere come il mio. E l’unica cosa che mi gratifica davvero è sapere che sono utile. Se non mi immagino o non mi sento utile, il lavoro non fa per me. E questo è un fatto e lo è sempre stato.
Ora, sovviene talora che io sia utile nel dire “no”. La maggior parte delle persone con cui lavoro capisce il senso di un no e ne fa tesoro, alcuni non lo capiscono (ma c’è speranza), altri se ne rammaricano o addirittura si risentono e cercano di aggirare l’ostacolo. Mi è successo anche che qualcuno si incazzasse di brutto, ma proprio di brutto, e di questo sono onestamente risentita io. Volevo quindi condividere alcune considerazioni di base, perchè oggi sono più risentita del solito.
Cominciamo dal concetto di consulenza: “parere di un professionista su una questione di specifica competenza”. Si noti quella strana parola, caratteristica ormai rara, che fa rima con consulenza ed è “competenza”. A chi è sfuggito il concetto?
Cazzo, fare consulenza vuol dire avere delle competenze (aka sapere delle cose) e metterle a disposizione di chi non le ha. Non ha niente a che fare con il fatto di avere una partita IVA. Non vuol dire essere parasubordinati, per non dire schiavi. Non vuol dire precariato, non vuol dire somministrazione di lavoro, non vuol dire clientelismo, non vuol dire cieca obbedienza.
Fare consulenza vuol dire pensare. Dare pareri. Risolvere problemi. Inventare soluzioni.
Certo certo… dipende dal settore di consulenza.
Io però mi occupo di compliance, cioè sono in una posizione ancora più scomoda, perchè i miei spazi di invenzione sono limitati, mentre quelli della conformità sono ben definiti nella norma e quando non lo sono peggio per me.
Quindi quanto sopra (quella storia del pensare e del saper dire di no) vale a maggior ragione.
Se mi pagano per rispettare la legge, la norma o lo standard, il mio lavoro è trovare soluzioni per farlo ed esprimere parere sfavorevole quando soluzioni non ce ne sono, non farmi fare pat pat sulla testa e dire di sì alle cazzate. Solo che questo non tutti lo capiscono.
Allora mi trovo certi giorni a fronteggiare situazioni in cui mi chiedono (di solito per la centesima volta) se si possa fare una cosa che non si può fare. Ed io paziente che ripeto che non si può.
*Ma sei sicura?*
Sì sono sicura.
*Ma proprio proprio sicura?*
Sì, sono sicura, e ti risnocciolo per iscritto cose che ti ho già scritto e spiegato decine di volte su quali sono i riferimenti di norma che intendi violare ed i rischi (talora imponenti) di sanzione in cui potresti incorrere.
*Allora chiediamo ad un altro.*
Insciallah. Certi giorni mi trovo che non ce la faccio più.
Cosa pensate che ci sia di divertente nel dire di no?
Niente! Non c’è niente di divertente. Non è appagante, non è remunerativo, non è facile, non è piacevole. Però è utile. Non solo, cazzo, è anche onesto.
Continuo fermamente a credere che l’inestimabile qualità dei bravi consulenti stia tanto nel sapere quello che fanno quanto nel credere in quello che dicono, avendo la capacità di dire di no. No non sono d’accordo, no non funziona, no non è conforme.
Assecondare per non infastidire equivale a tradire la propria competenza, soprassedere alla propria onestà intellettuale e rinunciare alla libertà – quel meraviglioso diritto che è riconosciuto per natura professionale al rapporto di consulenza – soprattutto vuol dire calpestare il cliente, ingannarlo ed ammansirlo, al solo scopo di procacciarsi qualche trentina di denari.
Credetemi, i bravi consulenti sanno quello che dicono, sanno di cosa parlano, e sanno anche quando non sanno qualcosa (generalmente lo attestano, anche, indirizzando verso chi ne sa). I bravi consulenti credono in quello che fanno e ci mettono l’anima, perchè il senso del lavoro sta lì, nel vedere che le cose vanno nel modo giusto, o adatto, o migliore o opportuno. Non facciamo altro che dare pareri, indicazioni, o suggerimenti. Che interesse avremmo a darli sbagliati?
Volere un consulente che dice sempre di sì o ripete quel che ci si vuol sentire dire è la stessa cosa che comprare un juke box o un pappagallo, solo che costa di più e non è detto che emetta suoni gradevoli.
Concludo la mia giornata di lavoro con questa riflessione perchè non mi fanno incazzare quelli che mettono in dubbio che io ne sappia abbastanza (io sono serena così, che faccio gli esami di certificazione e gli esaminatori fanno scena muta), mi fanno incazzare quelli che pensano che uno che fa il consulente sia uno schiavo e che debba necessariamente sempre piegarsi. Come se un obolo potesse compensare la rinuncia alla libertà intellettuale. Come se l’etica si potesse diluire in un acquerello.
Come se ci fosse qualcosa di razionale o utile nel chiedere ad una che per lavoro protegge un diritto di favorire la violazione di quello stesso diritto (sì, sì… la protezione dei dati è uno dei diritti fondamentali dell’uomo, sotto il capitolo della “libertà”, non è una stronzata per burocrati disoccupati o per azzeccagarbugli).
Sono incazzata nera, ma non è questo l’importante. L’importante è che sono certa del fatto che il valore del mio lavoro stia nel fatto che quelli come me sanno dire anche di no, e che quando si tratta di compliance dire no è il modo migliore di proteggere il cliente da se stesso. I clienti intelligenti apprezzano, ma davvero.
Peccato il mercato, che tende a promuovere quelli che stanno dall’altro lato della barricata e dicono sempre e solo sì. Ci sarà mai un redde rationem? Non lo so, ma me ne fotto e continuerò così.
Continuerò a scegliermi i clienti, appassionandomi profondamente e proteggendo con onestà ciò che fanno e le persone che ci stanno dietro, perchè questo è il senso che do alla mia piccola missione professionale sul pianeta.
Con sincera, leggera e schietta onestà… il mare è pieno di pesci, se non vogliono ascoltarmi si cercassero un altro granchio Sebastian.
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Che poi in fondo io mi chiedo: ma che ti compri a fare il DPO da una che scrive su un blog che si intitola “il Diavolo veste Chiara” e poi ti incazzi perchè ti dice quello che pensa e rimane coerente?
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