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Deliverables

Diceva un mio compagno di università, al secolo Gianluca D. (se mi autorizza, sarà taggato), che il lavoro del consulente è lineare: produce slide a mezzo di slide. Come pensavamo sofisticato, noi del DES della Bocconi…

Pensavo non sapesse di che parlava, poi ho capito che non aveva torto: che ce ne son di due tipi, di consulenti, quelli che sanno e quelli che non sanno.

Quelli che non sanno, in effetti, spesso producono slide a mezzo di slide. Ve lo dico da consulente.

Lo sapete quante volte mi son sentita dire: ‘Chiara, tu sì che capisci il concetto di scadenza… tu sei un consulente, per voi il deliverable è tutto’?

Infinite.

Non siamo neanche più capaci di chiamarlo per nome in Italiano, il risultato del nostro lavoro, per questo io lo scrivo come si deve però poi lo penso così, in Italiota: de-li-ve-ra-bol. Perchè quella roba lì somiglia terribilmente al prodotto semantico di un azzeccagarbugli, non al risultato del mio lavoro.

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Disorganigrammi

Guardavo, oggi, come una slide può rappresentare una perfetta disorganizzazione.

Ci si può mettere una storia secolare, una azienda redditizia, un settore merceologico a margine alto e certo: la disorganizzazione è figlia di se stessa e partorisce solo gemelli monozigoti.

L’organizzazione è un gene recessivo pilotabile, finché in azienda si possono scegliere gli alleli da combinare.

Guardavo una slide che rappresenta la perfetta PMI italiana: 30 persone a dir tanto, una lunga storia di abitudini incrostate su se stesse, competenze da consolidare, lacune da colmare, team di middle managers da costruire. Guardavo quella slide con gli occhi della Norma, la mia amata UNI EN ISO 9001:2008, in attesa della prossima revisione.

Ci vedevo dentro un disordine entropico da sistemare per generare un flusso canalizzato di energia, informazioni, decisioni guidate da un sistema difficilmente fallibile. Ce lo dice lo standard: scegliete le posizioni in funzione dei risultati, delegate responsabilità operative perché si prendano decisioni efficaci, stabilite i risultati attesi, misurate quelli effettivi.

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La fabbrica del duomo

Si sono inventati la nuova fabbrica del duomo e l’hanno chiamata ERP, questa è la sensazione comune.

Delle volte, vi dirò la verità, ce l’ho anche io. Ma solo delle volte.

Lo so, lo so: ho un’angolazione particolare. Faccio organizzazione aziendale, per me il sistema informativo è lo strumento più duttile ed utile per disegnare e poi far girare sulla ruota di Deming i processi aziendali. E se mi date un giocattolo come SAP, tra le mani, io mi diverto da matti. E chi mi dice che non è flessibile, lo sappia: non avete mai visto quante cose può fare, il mostro sacro, nelle mani di chi fa davvero ingegneria di processo.

Lo so, lo so: ho un’angolazione particolare. Ma l’implementazione di un ERP non deve essere una fabbrica del duomo, bensì la figlia concepita, voluta e con una gestazione ben monitorata di una madre evoluta (il fornitore) e di un padre esigente (il cliente).

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Mi ha chiamata, stamattina, un RGQ

Mi ha chiamata, stamattina, un RGQ.

Scusa?

Mi ha chiamata, stamattina, un RGQ.

Sa l’ha ciamà cus’e`?

Un Responsabile del Sistema di Gestione per la Qualità.

Ah beh, sì beh, cünta su…

Avrei voglia di ricamare tutto il post sulle note di ‘Ho visto un re’, giusto per rimanere intenzionalmente ironica, ma poi finirei per essere politically incorrect e soprattutto sgrammaticata, considerando che non parlo Milanese.

L’RGQ, però, mi ha chiamata sul serio, e mi ha detto: ‘Senti, avevi ragione tu, torni?’

Non prendetemi alla lettera, la conversazione è stata ben più articolata e complessa, ma la soddisfazione è la stessa: finché mi pagate per pensare ed io vi dico quello che penso, non quello che volete sentirvi dire, può succedere che vi stia molto antipatica, ma anche che vi torni utile.

Mi è venuta voglia, quindi, di raccontarvi questa storia perché la trovo terribilmente stereotipica del fenomeno, tutto italiano, della relazione tra la piccola impresa e la sua stessa organizzazione.

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Le regole del Dream Team

Son tanti quelli che dicono che uno degli skill che si testa ad un colloquio è la capacità di fare lavoro di gruppo.

Fosse facile farlo, poi davvero, di lavorare in gruppo.

Il gruppo è orizzontale, il gruppo è verticale. Il gruppo è entropico, il gruppo è chiuso. Il gruppo è misto, variegato, denso ed intenso di umanità e competenze, di storie, esperienze, schemi mentali incrostati, creatività improvvisa.

Il gruppo, da sé, non funziona. E’ la squadra che funziona. Perchè può essere, se vuole, un gruppo organizzato: il contenitore ampio e la mappa dinamica delle più variegate energie e contributi che ciascuno ha da dare.

Suona molto meglio, in inglese: si chiama team.

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Un Vero Sistema Qualità

Ora di pranzo, mi suona il cellulare. È un cliente che conosco da una vita, abbiamo fatto un sacco di cose assieme.

‘Ciao Dottoressa’

*Ciao Ingegnere!*

‘Senti, ci ho pensato su: hai ragione tu. Certifichiamoci ISO 9000’.

Mi siedo, è meglio. Dopo sette anni che si lavora assieme a dare picconate al sistema organizzativo dell’azienda, han deciso di certificarsi ISO? Possibile?

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aspettando defcon 5

Mi chiedo se vi siate mai posti il problema, se abbiate mai realizzato quanto preziosi e delicati siano i vostri sistemi informativi.

Gli ultimi giorni mi dicono che no, non ci avete mai pensato, cari imprenditori che chiamate sempre dopo che è successo un casino, mai prima che capiti.

Imparerete mai che prevenire è meglio che curare, che gli incidenti si possono evitare, che costa molto di più correre ai ripari che non investire in sicurezza?

Forse no, non lo imparerete mai, e quelli come me avranno sempre un mercato ricco e faticoso in cui sguazzare alacremente, chi più chi meno.

Una azienda media, solida e ricca. Un fornitore di tecnologia piccolo, improvvisato ed evidentemente incosciente. Una potenziale causa milionaria e due aziende paralizzate ad arricchire i consulenti per salvarsi il culo.

Ecco com’è andata.

Un disastro. Uno di quelli in cui i consulenti bravi, quelli che mettono la flangia al culo, come dice il mio Luca, potrebbero farci una fortuna.

E ancora mi sto chiedendo cosa si è capito di questa storia, che ne è forse la parte più triste, se non aberrante.

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giorno sei. defcon 3.

Un’altra notte in piedi. Un mal di testa feroce. Cinque società che lavorano per riparare al danno, un numero imprecisato ma vertiginoso di tecnici che lavorano, di mail da scrivere, di nomi da ricordare.

Sequenze, iterazioni e nessuna macro che mandi mail al posto del responsabile IT.

E’ successo un miracolo, solo che adesso c’è da dare seguito per non perderne i provvidi frutti.

Vi avevo mica detto che la consulente fissata aveva fatto fare l’ennesima copia ossessiva dell’intero disco del server crashato, raccogliendo improperi a destra e manca?

Vi avevo mica detto che aveva scritto una soluzione per la continuità aziendale in emergenza?

Beh, buon Dio, ha funzionato!

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giorno cinque, fermo immagine

C’eran quelli che speravano nelle buone notizie.

E invece no… ce n’è ancora qualcuna di cattiva prima del gran finale col botto.

Raccontare questa storia è come ascoltare un pezzo dei Chemical Brothers a tutto volume in una stanza vuota: solo a pensarci si buca il cervello. Rimbomba nei recessi della mente, quelli che cercano di riposare la notte. Insiste. Rimbomba, picchia, insiste. Massacrante, imprevedibile, ma soprattutto imponderabile nelle sue conseguenze. Come un fungo allucinogeno di pessima fabbricazione.

Siamo al giorno cinque dello stato di guerra, ed è mercoledì mattina.

E se non bastasse, piove.

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BCMP: giorno quattro. Siamo a Defcon 1

Lunedì mattina, ore cinque e trenta. Parte la prima mail cauterizzante, quella per il gotha aziendale:

Signori buongiorno, purtroppo è andata nel peggiore dei modi: il ripristino di Windows ha cancellato l’ERP, ma FORSE non tutti i dati che non sono sul backup. Fermo l’azienda. Aspetto le risposte alla mia mail in calce.”

I tecnici han fatto il miracolo. Dopo quattro giorni di fermo il server in Germania, quello remoto, subaffittato e non manutenuto, è tornato fortunosamente ad accendersi.

E la consulente fissata aveva rotto le palle a tutti con il suo piano di continuità aziendale…

Ma che? Ma cosa? Un server è una macchina: funziona sempre.

Peccato che non sia vero: il server si è avviato ma l’ERP non funziona.

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