Seleziona una pagina
 

giorno cinque, fermo immagine

C’eran quelli che speravano nelle buone notizie.

E invece no… ce n’è ancora qualcuna di cattiva prima del gran finale col botto.

Raccontare questa storia è come ascoltare un pezzo dei Chemical Brothers a tutto volume in una stanza vuota: solo a pensarci si buca il cervello. Rimbomba nei recessi della mente, quelli che cercano di riposare la notte. Insiste. Rimbomba, picchia, insiste. Massacrante, imprevedibile, ma soprattutto imponderabile nelle sue conseguenze. Come un fungo allucinogeno di pessima fabbricazione.

Siamo al giorno cinque dello stato di guerra, ed è mercoledì mattina.

E se non bastasse, piove.

(altro…)

BCMP: giorno quattro. Siamo a Defcon 1

Lunedì mattina, ore cinque e trenta. Parte la prima mail cauterizzante, quella per il gotha aziendale:

Signori buongiorno, purtroppo è andata nel peggiore dei modi: il ripristino di Windows ha cancellato l’ERP, ma FORSE non tutti i dati che non sono sul backup. Fermo l’azienda. Aspetto le risposte alla mia mail in calce.”

I tecnici han fatto il miracolo. Dopo quattro giorni di fermo il server in Germania, quello remoto, subaffittato e non manutenuto, è tornato fortunosamente ad accendersi.

E la consulente fissata aveva rotto le palle a tutti con il suo piano di continuità aziendale…

Ma che? Ma cosa? Un server è una macchina: funziona sempre.

Peccato che non sia vero: il server si è avviato ma l’ERP non funziona.

(altro…)

BCMP: giorno tre, ma è ancora domenica

Domenica mattina, ore sette. Tutti dormono. O quasi.

Qualcuno suda camicie a capire come fare a salvare il salvabile. Di solito, quello lì, è il responsabile IT. Ma se ci fosse un responsabile, avrebbe anche una procedura di disaster recovery.

Qui invece non c’è proprio niente e son due giorni che il sistema informativo aziendale è fermo, parcheggiato immobile dentro un server remoto, lassù in Germania, affittato tempo fa dietro ad una lunga catena di subappalti di servizi difficile da raccontare.

Altro che scatole cinesi: questa è una catena di Sant’Antonio.

(altro…)

BCMP: non è l’acronimo di una parolaccia alla Jannacci ed è solo la prima puntata

Questa estate un cliente che lavora nella tecnologia mi ha chiesto del supporto per redigere quello che in gergo si chiama un Business Continuity Management Plan, da fare perché è obbligato da un cliente.

Ci credono poco, come tutti.

In fondo, a cosa serve la valutazione del rischio e l’adozione di misure preventive per la sicurezza? Ma soprattutto, dei dati?

A niente: le norme internazionali le han scritte perché non sapevano cosa di meglio fare. Non lo sapevate?

La solita noiosa applicazione di qualcosa con cui il Garante per la Protezione dei Dati rompe le scatole alle aziende: niente di più, secondo l’imprenditore.

(altro…)

La competenza, questa sconosciuta

La competenza. Strano mistero ormai, per la PMI.

Parlo di risorse che sanno quello che dicono, che fanno quello che dicono, che dicono quello che sanno e poi lo fanno.

Risorse sì: mezzi di produzione si sarebbero chiamati, in un gergo antico e fin troppo politicamente abusato, oltre che orientato.

Risorse, capitale umano, aggregati complessi di competenze ed expertise, come direbbe un bocconiano alla mia stregua.

Consulenti? Dipendenti? Dirigenti?

Risorse.

Di questo vive l’azienda, nella società dell’informazione. Di questo, o meglio senza, può morire l’azienda, nella stessa osannata ed incompresa società dell’informazione. Perché senza sapere si va a caso. E a caso, nel lungo periodo, non si va da nessuna parte.

(altro…)

talis pater, talis filia

Avevo vent’anni forse, secondo anno al DES, facevo la brillante alla Bocconi coi miei colleghi geni che prendevano sempre voti altissimi e la mia testa volava tra ‘scrivo libri’ e ‘dove vado stasera’. Per quanto credessi di sforzarmi, non mi rendevo bene conto di cosa mi succedesse attorno. Però mi avevano spiegato tutto.

Una sera i miei genitori si son seduti attorno al tavolo, guardando me e mio fratello dritti in faccia, e ci hanno detto che papà aveva appena preso una decisione seria: responsabilità civili e penali enormi a fare il direttore di stabilimento, una forte divergenza di opinioni con l’imprenditore per questioni di sicurezza, un accordo di ferro. Adesso lo chiamerei con il suo nome: un potente incentivo all’esodo e via, nelle mani dei cacciatori di teste. Ma mio padre no. Lui, testardo e superbo, aveva deciso di fare diversamente e diceva: *è tutta la vita che metto a posto le cose in azienda, che mando a casa le persone che non vanno, che non dormo per i pensieri affannosi e mi vengono i crampi al polpaccio della gamba sinistra: adesso l’azienda la faccio io*.

E così ci siam trovati nella grande avventura, mio fratello ed io, lui a Castellanza ed io alla Bocconi, a gravare sul bilancio famigliare come due massi in uno stagno, mentre mio padre si inventava un geniale futuro tutto nuovo con una azienda famigliare (che è ancora lì, con mio fratello vicino e me prossima).

Ho ascoltato infinite volte le storie di quanto è stato divertente e faticoso assieme arrivare in un posto nuovo, dove non conosci nessuno ed essere sbattuto al comando di una nave allo sbando. Rimboccati le maniche, metti tutto a posto. Cambia le mansioni, inverti le posizioni, premia chi merita, punisci chi danneggia. Diceva sempre, il mio grande padre, che ci vuole coraggio ed onestà a licenziare. Io non gli credevo. Temo anche di aver detto più volte che pensavo fosse uno stronzo: *papà, non si licenziano i lavoratori, poveretti*.

Poveretta io piuttosto, seduta bella comoda sul mio banco in aula 34, a fare la studente modello alla Bocconi sui libri nuovi di pacca, mentre lui sputava sangue per essere all’altezza di se stesso.

(altro…)