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talis pater, talis filia

Avevo vent’anni forse, secondo anno al DES, facevo la brillante alla Bocconi coi miei colleghi geni che prendevano sempre voti altissimi e la mia testa volava tra ‘scrivo libri’ e ‘dove vado stasera’. Per quanto credessi di sforzarmi, non mi rendevo bene conto di cosa mi succedesse attorno. Però mi avevano spiegato tutto.

Una sera i miei genitori si son seduti attorno al tavolo, guardando me e mio fratello dritti in faccia, e ci hanno detto che papà aveva appena preso una decisione seria: responsabilità civili e penali enormi a fare il direttore di stabilimento, una forte divergenza di opinioni con l’imprenditore per questioni di sicurezza, un accordo di ferro. Adesso lo chiamerei con il suo nome: un potente incentivo all’esodo e via, nelle mani dei cacciatori di teste. Ma mio padre no. Lui, testardo e superbo, aveva deciso di fare diversamente e diceva: *è tutta la vita che metto a posto le cose in azienda, che mando a casa le persone che non vanno, che non dormo per i pensieri affannosi e mi vengono i crampi al polpaccio della gamba sinistra: adesso l’azienda la faccio io*.

E così ci siam trovati nella grande avventura, mio fratello ed io, lui a Castellanza ed io alla Bocconi, a gravare sul bilancio famigliare come due massi in uno stagno, mentre mio padre si inventava un geniale futuro tutto nuovo con una azienda famigliare (che è ancora lì, con mio fratello vicino e me prossima).

Ho ascoltato infinite volte le storie di quanto è stato divertente e faticoso assieme arrivare in un posto nuovo, dove non conosci nessuno ed essere sbattuto al comando di una nave allo sbando. Rimboccati le maniche, metti tutto a posto. Cambia le mansioni, inverti le posizioni, premia chi merita, punisci chi danneggia. Diceva sempre, il mio grande padre, che ci vuole coraggio ed onestà a licenziare. Io non gli credevo. Temo anche di aver detto più volte che pensavo fosse uno stronzo: *papà, non si licenziano i lavoratori, poveretti*.

Poveretta io piuttosto, seduta bella comoda sul mio banco in aula 34, a fare la studente modello alla Bocconi sui libri nuovi di pacca, mentre lui sputava sangue per essere all’altezza di se stesso.

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Il sultano

Aprile, d’intorno. Piove. Piove da mesi. Quasi come se la stagione riflettesse il clima aziendale, l’aria che tira in questi giorni. Almeno, questo è il pensiero di Pietro, direttore tecnico, mentre guarda perplesso fuori dalla finestra.

Ma direttore tecnico di che? La nomina è la sua, perché si è laureato in ingegneria meccanica e per fare il direttore tecnico di un’azienda produttrice di macchine utensili ci vuole il titolo. Ma il problema è sempre lo stesso: il vero creatore è il padre. Grande, ingombrante, talora ottuso padre, che progetta su carta e poi passa in officina le sue creature, senza minimamente curarsi di tutte le difficili regole del sistema. Che se non le rispettano si va tutti in coro in galera e con le multe da pagare ci si prosciugano case e patrimoni di famiglia.

Mentre riflette sul fatto che le cose son cambiate, almeno nell’ultimo decennio, e che lui non riesce ad inculcare il fatto nella testa dura del padre, scorge un’ombra riflessa nel vetro. Elisa, sua sorella, entra come una furia in ufficio, sbraitando, e lo travolge di parole. Ne capisce circa un decimo: sua sorella ha la particolare capacità, quando è nervosa, di inghiottire una sillaba ogni due rendendosi indecifrabile. Sta blaterando qualcosa sullo straordinario degli operai.

‘Stai calma, Elisa, non ho capito niente’.

Elisa sospira: almeno suo fratello la capirà?

Elisa ha poco meno di quarant’anni, una brillante laurea in economia aziendale, fa il direttore amministrativo. Cioè, poveretta: ci prova. Peccato che qualcuno disfaccia costantemente il suo duro lavoro. Oggi è esasperata dal fatto che, nonostante siano state emesse procedure e linee guida per l’autorizzazione e la gestione del lavoro straordinario nei reparti produttivi, il capo officina continua a fare manovre strane tipo fermare gli operai più a lungo senza poi segnalare le corrette ore lavorate, generando malcontento e reclami sulle buste paga.

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