talis pater, talis filia
Avevo vent’anni forse, secondo anno al DES, facevo la brillante alla Bocconi coi miei colleghi geni che prendevano sempre voti altissimi e la mia testa volava tra ‘scrivo libri’ e ‘dove vado stasera’. Per quanto credessi di sforzarmi, non mi rendevo bene conto di cosa mi succedesse attorno. Però mi avevano spiegato tutto.
Una sera i miei genitori si son seduti attorno al tavolo, guardando me e mio fratello dritti in faccia, e ci hanno detto che papà aveva appena preso una decisione seria: responsabilità civili e penali enormi a fare il direttore di stabilimento, una forte divergenza di opinioni con l’imprenditore per questioni di sicurezza, un accordo di ferro. Adesso lo chiamerei con il suo nome: un potente incentivo all’esodo e via, nelle mani dei cacciatori di teste. Ma mio padre no. Lui, testardo e superbo, aveva deciso di fare diversamente e diceva: *è tutta la vita che metto a posto le cose in azienda, che mando a casa le persone che non vanno, che non dormo per i pensieri affannosi e mi vengono i crampi al polpaccio della gamba sinistra: adesso l’azienda la faccio io*.
E così ci siam trovati nella grande avventura, mio fratello ed io, lui a Castellanza ed io alla Bocconi, a gravare sul bilancio famigliare come due massi in uno stagno, mentre mio padre si inventava un geniale futuro tutto nuovo con una azienda famigliare (che è ancora lì, con mio fratello vicino e me prossima).
Ho ascoltato infinite volte le storie di quanto è stato divertente e faticoso assieme arrivare in un posto nuovo, dove non conosci nessuno ed essere sbattuto al comando di una nave allo sbando. Rimboccati le maniche, metti tutto a posto. Cambia le mansioni, inverti le posizioni, premia chi merita, punisci chi danneggia. Diceva sempre, il mio grande padre, che ci vuole coraggio ed onestà a licenziare. Io non gli credevo. Temo anche di aver detto più volte che pensavo fosse uno stronzo: *papà, non si licenziano i lavoratori, poveretti*.
Poveretta io piuttosto, seduta bella comoda sul mio banco in aula 34, a fare la studente modello alla Bocconi sui libri nuovi di pacca, mentre lui sputava sangue per essere all’altezza di se stesso.